MUAY THAI
The beautiful story of Miriam, a young Italian talented fighter in Thailand.

MUAY THAI

The beautiful story of Miriam, a young Italian talented Muay Thai fighter in Chiang Mai, Thailand.

Mi chiamo Miriam, italiana dalla nascita ma thailandese nel cuore.
Vivo a Chiang Mai da febbraio 2014 e ogni giorno questo paese riesce a stupirmi e a farmi sorridere.
Mi chiedono in tantissimi se mi manca l’Italia.
E’ brutto da dire ma la risposta è sempre no.
Ovviamente ho le mie ragioni ad avvalorare quel secco “no”.
Una delle principali è la Muay Thai, l’arte marziale thailandese.
L’ho scoperta tardi: avevo 25 anni quando entrai per la prima volta nella Satori Gladiatorum Nemesis di Gorizia.
Un giorno del marzo 2006 scesi le scale, entrai nella palestra (uno scantinato) e capii che quello era il mio posto.

C’era odore di olio thai e di sudore, il ring era piccolo, così come l’intera palestra.

Sono sempre stata una ragazza sportiva, fin da piccola. Per anni ho praticato ginnastica artistica, primo amore in assoluto. Poi mi sono sempre mantenuta in forma con varie attività all’aperto e in palestra: prettamente aerobica, step e corsi di questo tipo. Proprio prima di imbattermi nella muay thai avevo frequentato qualche corso di fit boxe e cardio combact (mai capito la differenza): in pratica una sorta di ginnastica aerobica davanti ad un sacco in cui si tirano calci e pugni alla carlona e a suon di musica.
Ero stufa della solita minestra e mi era balenata l’idea in testa di voler imparare veramente  a calciare come si deve. Avevo visto un match di muay thai di un ragazzo fortissimo che si allenava a Gorizia, città in cui sono nata e in cui vivevo. Il caso ha voluto che il mio compagno dell’epoca (pugile) si allenasse nella stessa palestra di quel grande giovanissimo campione. E così quel giorno di marzo sono entrata nella mitica Satori e ho iniziato ad allenarmi. Non era mia intenzione combattere. Ma mi allenavo tanto: prima solo 3 volte a settimana (allenamenti con la “A”maiuscola, duri anche per gli uomini!). Poi ho iniziato col andare a correre nei giorni in cui non c’era il corso in palestra. E poi ad andare in palestra anche quando non c’era lezione, per allenarmi per conto mio. Mi allenavo tanto e mi piaceva da morire. Ogni giorno era una nuova sfida per il mio corpo.
Dolore, sudore e fatica.

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E in più avevo l’onore di vedere allenarsi Giorgio Petrosyan e suo fratello Armen, e di essere allenata a mia volta da loro e dal mio unico e inimitabile maestro, Alfio Romanut.
Non era più solo una palestra: dopo poco era diventato il mio team, il mio gruppo di amici, la mia seconda famiglia. Ad un certo punto avevo bisogno di un feedback, di capire a che punto ero arrivata… avevo bisogno di provare a combattere. Dopo due anni dalla mia scoperta della muay thai, ho esordito con il mio primo match di K1 a Caldiero. Ho vinto ai punti (3 round da 2 minuti, con protezioni) ma ho fatto contare l’avversaria 2 volte. Ero una furia. E onestamente, dopo il match, non ricordavo molto.
Era tutto molto confuso: ansia e adrenalina… bel casino.

E niente. Da quel giorno di ottobre 2008 non ho mai più smesso.

Mi allenavo tanto e mi piaceva da morire. Ogni giorno era una nuova sfida per il mio corpo. Dolore, sudore e fatica.

In Italia ho combattuto poco. Onestamente non so bene il perché. Di ragazze della mia categoria ce n’erano e ce ne sono. Eppure, nonostante mi fossi iscritta alle selezioni Oktagon (il più grande evento in Italia) per due anni, ho disputato solo un match contro Veronica Vernocchi nel 2011 a Genova. L’anno seguente, in cui era stata introdotta la classifica a ranking (l’atleta con più punti avrebbe vinto le selezioni per partecipare ad Oktagon), sono stata inserita tra le partecipanti con uno score di 500 punti che è rimasto sempre tale perché, per ragioni ancora a me sconosciute, tutte le avversarie combattevano tra di loro, mentre a me non è stata data neppure un’occasione di competere contro una di loro.

Accadde nell’estate 2011, prima dell’evento di Genova, che sono stata per la prima volta in Thailandia. Ci sono andata per motivi personali, non per la Muay Thai. Ero ovviamente molto su di giri perché non vedevo l’ora di provare l’esperienza degli allenamenti nella patria in cui è nata quest’arte marziale. Quell’anno ci sono rimasta per tre mesi e ricordo perfettamente il primo istante in cui ho messo piede all’aeroporto Suvarnabhumi di Bangkok: mi sono sentita a casa.

I miei primi allenamenti nella terra del sorriso sono stati alla RMB Muay Thai Gym di Pattaya con un allenatore thai davvero in gamba e grande fighter, Nueng (ora ha aperto la sua palestra a Jomtien Beach, poco distante dal centro di Pattaya). Sono stati 3 mesi incredibili, non solo per gli allenamenti, e credo rimarrà uno dei periodi più belli della mia vita.

Ad ogni modo, grazie a Rachid, il gestore francese della palestra, ho disputato il mio primo incontro con regolamento di muay thai (gomiti inclusi). E’stato per la Queen’s Cup 2011 nel parco reale a Bangkok, uno dei più grandi eventi in Thailandia insieme a quelli organizzati per il compleanno del re. Ogni anno vengono organizzati incontri di Muay Thai in onore del compleanno della regina (12 agosto) e del re (5 dicembre) in tutto il Paese come celebrazione e festa.
Ovviamente gli eventi più importanti sono quelli a Bangkok.

La mia avversaria era una canadese, Lindsay Ball, che il giorno del peso era sopra di quasi 1 kg. In palio c’era la cintura WPMF per la categoria dei 57 kg. Abbiamo combattuto alle 1.40 del mattino perché doveva esserci la diretta televisiva, sotto la pioggia. Lo ripeto: il mio primo match di muay thai, ottavo incontro della mia vita (contando anche i primi 4 da dilettante, quindi con protezioni alle tibie e caschetto! Ho dato l’anima su quel ring e credo che rimanga la mia migliore prestazione in assoluto. Non parlo della tecnica che, ovviamente, negli anni si è evoluta un pochino, ma dello stato mentale, della grinta e della prestazione fisica in generale: 5 round in cui ho calciato e tirato pugni come se non ci fosse un domani (prima volta che disputavo un incontro sulle 5 riprese). Ho perso ai punti perché, venendo dal K1 (sorta di kickboxing, senza gomitate e senza grabbling), non avevo idea di come e cosa fare nel clinch. Comunque ho perso per pochi punti.
Dopo la mia prima esperienza in Thailandia, il mio unico pensiero era come fare a tornare là. Non solo per la muay thai: tutto il contesto è qualcosa di magico. La cultura, la tradizione e soprattutto il modo di vivere dei thailandesi mi aveva rapita. Sono tornata diverse volte in Thailandia, facendo avanti e indietro, per un mese, poi altri 3 mesi, e così fino a febbraio 2014 quando mi sono trasferita qui. In Italia per diverse ragioni, prima tra tutte la mancanza di prospettive lavorative e il fatto che fossi bloccata con un lavoro part time da anni senza riuscire a sistemarmi (a 30 anni ancora a casa con i miei senza riuscire ad avere la mia vita indipendente era diventata ormai cosa davvero pesante da sopportare), avevo cominciato a deprimermi. Nell’estate del 2013 sono stata un mese nel nord est della Thailandia, a Ubon Ratchattani, e poi due mesi a Phuket. Partii dall’Italia in uno stato emotivo davvero alla frutta. E sapevo che c’era solo una cosa che avrebbe potuto sollevarmi: il duro allenamento. E così per quei 3 mesi mi sono allenata, allo stremo. Due volte al giorno, 6 giorni su 7. Ogni muscolo del mio corpo mi doleva… ma non era nulla: non era niente in confronto a quello che provavo dentro.

E’ stato un periodo in cui ho focalizzato ogni energia solo sugli allenamenti, in cui ho chiesto al mio corpo ogni giorno sempre di più. E mentre ero così tanto impegnata a cercare di sollevarmi dal mio baratro emotivo nell’unico modo che conoscevo per farlo, è capitato che ho incontrato un sacco di persone che, ancora ora, sono orgogliosa di chiamare amici. Ed è stato lì, durante le sere passate a chiacchierare nel residence vicino alla piscina della Suwit Gym a Phuket che ho preso la decisione di mollare tutto in Italia e di cercare lavoro ovunque, pur di andare via da là. Proprio lì, seduta in quel gazebo, dopo le intense giornate passate in palestra e in spiaggia, tra sudore e sorrisi, mentre ascoltavo in silenzio gli incredibili racconti di vita di persone così diverse da me, provenienti da diverse parti del mondo, ma altrettanto appassionate a questo meraviglioso sport, mentre realizzavo di aver perso così tanto tempo ad aspettare che le cose cambiassero in un Paese che, da quando sono nata, non mi ha dato mai nulla (nonostante i miei tanti ma inutili sforzi per cercare, non dico di realizzarmi ma, per lo meno, di essere indipendente), ogni cosa mi era diventata chiara in testa. Tutti i miei progetti di vita che avevo costruito negli anni si erano frantumati ed era tempo per me di cambiare. Devo molto se non tutto alle persone che ho conosciuto a Phuket in quel periodo: Steven, Paolo, Hollie, Martin e il mio allenatore Katathai in prima linea, ma ce ne sono almeno un’altra decina da aggiungere!
Quando sono rientrata in Italia a settembre, altri grandi problemi da affrontare: a volte la vita davvero ci mette alla prova! e quando anche nello sport, come accennato, non riuscivo a vedere neppure uno spiraglio, ho iniziato a mandare curricula all’estero (prima tra tutte l’Inghilterra). La prima e unica risposta è arrivata dalla ditta per cui lavoro ormai da due anni a Chiang Mai, nel nord della Thailandia. Quando mi sono trasferita qui a febbraio 2014 ero così giù mentalmente e stufa che avevo deciso di allenarmi solamente per fitness e smettere di combattere.

Ma poi ho iniziato con gli allenamenti alla Hongthong muay thai gym dove ho trovato un bel gruppo di persone. E, una volta sistemata con il lavoro e gli orari, ho cominciato come al mio solito, ad allenarmi tanto. E così a fine maggio dello stesso anno ho combattuto per la prima volta a Chiang Mai. E da lì a poco, grazie soprattutto ai contatti che Joe e Gen (i gemelli thai che gestiscono la palestra), ho avuto modo di combattere in grandi eventi e promozioni (Muay Thai Angels, King’s Birthday Tournament, alcuni incontri in Cina), spesso e volentieri sono stata in diretta tv. L’ultimo match l’ho disputato a Sydney, sempre grazie ad un amico della Hongthong Gym, Andrew Parnham: grandissimo allenatore che, al pari di Alfio Romanut, non solo sa insegnare ma riesce a trasmettere passione per questo bellissimo sport. Nella sua palestra a Sydney, PTJ Muay Thai Gym, in cui mi sono allenata per un mese, ho avuto il piacere e l’onore di conoscere e incrociare i guantoni e le tibie con ragazzi e ragazze meravigliosi: tutti, anche gli amatori, hanno una buonissima tecnica e sono orgogliosa e grata di aver potuto imparare qualcosa da ognuno di loro.
Per quanto riguarda l’incontro, l’avversaria si è presentata al peso con 2 kg in più di quanto stabilito (58 kg; io pesavo esattamente 57.9 kg) dicendo che ha cercato di scendere il più possibile ma che più di così non ce la faceva. Mi è stato quindi chiesto se volessi combattere ugualmente (come regola chi non fa il peso giusto da parte della borsa all’avversario). Io ero lì per combattere. Rifiutare sarebbe stato anche irrispettoso verso la palestra che mi ha accolta e allenata. E io volevo combattere. Quindi ho accettato. E ho perso ai punti, guadagnando il mio primo taglio per gomitata (4 punti), infertomi al secondo round. Sono rimasta su quel ring per tutte le 5 riprese cercando di fare qualcosa. Ma la differenza enorme di peso e il fatto del taglio alla seconda, hanno reso ardua l’impresa.
Ora sono nuovamente nella mia Thailandia: lavoro nel mio ufficio 9 ore al giorno (di solito dal pomeriggio fino a non prima di mezzanotte) e mi alleno ogni mattina (a partire dalle 7.30) dalle 2 alle 3 ore. Dipende. Ho richiesto di lavorare nei week end, specie la domenica in cui la palestra è chiusa, per avere i giorni liberi durante la settimana per potermi allenare due volte al giorno. In pratica è il mio secondo lavoro. Prossimo impegno è fissato per il 4 dicembre a Kuala Lumpur in Malesia per un incontro internazionale di muay thai full rules, ottava edizione della Royal Cup, contro una ragazza tedesca, Dilara Yiloiz, per il titolo Z1 Female Champion 2015.

Amo quello che faccio, anche se mi stanco, anche se mi logora, nonostante non abbia tempo per uscire spesso con gli amici a fare festa e a divertirmi. Non c’è molto nella vita che puoi paragonare a quello che si prova quando sali a combattere su un ring. Solo chi l’ha fatto sa di cosa parlo.

E quindi, alla veneranda età di 34 anni, io combatto. Ho la fortuna di venir sorpresa ogni giorno dalla bellezza della Thailandia, di vivere in un posto in cui fa sempre caldo e in cui la gente per strada ti sorride, perchè questa è la loro cultura. Ho l’opportunità di fare ciò che mi appassiona e di usarlo come mezzo per viaggiare, per incontrare sempre persone incredibili. Mi ritengo davvero una persona fortunata e orgogliosa di essere una guerriera, dentro e fuori dal ring.
Concludo con uno speciale ringraziamento alla mia famiglia per avermi appoggiata anche se non proprio entusiasti delle mie scelte, al mio allenatore Alfio Romanut per avermi fatto ammalare di Muay Thai (nota malattia degenerativa!) e ai fratelli Petrosyan, per tifare sempre per me almeno quanto io tifo per loro! Ai miei migliori amici in Italia (sanno di chi parlo) e a Giuseppe senza cui sicuramente non sarei quella che sono ora.

Tutti i nostri ringraziamenti alla bravissima Miriam Sabot per questa intervista e complimenti per la bravura e la incredibile passione!